Wer Ignazio Bardea

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Giacomo Ignazio Bardea nacque a Bormio il 9 ottobre 1736 da Giovanni Bardea e da Anna Maria Lavizzari di Vervio, sorella dello storico Pier Angelo Lavizzari, morta prematuramente due anni dopo. Il bambino di salute piuttosto gracile ma di ingegno vivace, frequentò nei primi anni i corsi di Umanità nel locale Istituto dei Gesuiti. Seguì poi il corso di Retorica al Collegio Gallio dei padri Somaschi di Como dove si appassionò all’arte della poesia. Nel 1752 seguì a Brescia il corso di Filosofia e nel 1755 frequentò ad Innsbruck come studente il corso di legge, per laurearsi in Giurisprudenza a Bologna nel 1758. La sua cultura vasta e poliedrica, il suo fine intuito insieme ai modi e alla raffinata educazione gli prospettavano un brillante avvenire di giurista nel bel mondo aristocratico quando decise, in modo inatteso per i più, di abbracciare lo stato ecclesiastico.
Nel 1758 si recò a Como per la tonsura chiericale, poi passò a Brescia dove il clima meno umido meglio si confaceva alla sua salute. Quasi subito fu eletto al beneficio teologale, ma si trovò di fronte l’opposizione del conterraneo teologo Antonio Nicolina che lo giudicò”immaturo nell’età”. Dovette discutere la causa promossa contro di lui e oppose ricorso; la causa da Como passò di competenza a Roma alla Sacra Rota e si chiuse con la sconfitta di Bardea che dovette anche sostenerne le onerose spese. Questa vicenda lo amareggiò profondamente e lo portò ad accentuare la sua ritrosia di fronte ai problemi e ai fastidi della vita comune; preferì rinchiudersi nello studio della storia, una passione che, sorta da poco, lo accompagnò per tutta la vita.
Accettò tuttavia la nomina a parroco della Valfurva con la clausola che vi sarebbe rimasto“ fino a tanto che si fosse creduto giovevole e accetto”. Vi rimase dal 1763 al 1774 operando presso i parrocchiani con grande dedizione e generosità e coltivando nel contempo la sua passione per la storia concretizzata nella stesura di due opere fondamentali: Memorie storiche per servire alla Storia Ecclesiastica del Contado di Bormio e Memorie storiche per servire alla Storia Civile del Contado di Bormio.
Sorti alcuni contrasti per la nomina del coadiutore nel 1774, per evitare litigi e polemiche si allontanò dall’Alta Valle e per undici anni viaggiò tra Milano, Bologna, Venezia, soggiornando soprattutto a Brescia dove aveva molti amici. Frequentò i più importanti salotti letterari dove si distinse sempre per la sua intelligenza, per la cultura e per la sua affabilità, tanto che in segno di grande stima, nel 1782 venne nominato membro dell’Accademia degli Erranti e due anni dopo fu eletto Censore della medesima Accademia.
Bormio cui, comunque, restava affettivamente legato, viveva in quegli anni un periodo turbolento e violento a causa delle poco edificanti lotte tra il clero secolare e i barnabiti i quali, chiamati in Bormio nel 1782 per reggere la scuola dopo l’allontanamento dei gesuiti, erano capeggiati dalla losca figura del Padre Lesma.
Ci furono lotte, vendette e ripicche che divisero anche il paese in sostenitori degli uni e sostenitori degli altri, fino ad arrivare nel 1785 all’assassinio del teologo Nicolina ucciso da tre pugnalate inferte da uno dei sostenitori dei padri. Morto il Nicolina, antico avversario del Bardea, il beneficio teologale ritornò a lui che lo accettò.
Dal 1786 egli si stabilì a Bormio dove fece ricostruire nel rione di Buglio una bella casa che divenne il punto di riferimento per l’ospitalità di tutti i personaggi influenti che si trovarono a passare per Bormio, oltre che un raffinato centro di iniziative culturali: Bardea, infatti, cercava di mantenere anche nel borgo alpino l’alto livello del mondo letterario ed artistico in cui era vissuto per tanti anni.
Durante il periodo della Rivoluzione francese e del conseguente distacco di Bormio dal governo grigione si era reso perfettamente conto della necessità di cambiamento negli ordinamenti politici ormai obsoleti, attraverso riforme adeguate, ma non accettava eccessi ed abusi di ogni genere.
In linea con il suo carattere prudente e refrattario all’azione, si mantenne piuttosto defilato, pur lasciando trasparire le sue caute simpatie per i rivoluzionari di cui, comunque, condannava le violenze.
Trascorse l’ultima parte della sua vita dedicandosi soprattutto alla raccolta e alla trascrizione di preziosi documenti. Rifiutò qualsiasi carica pubblica o diretto impegno politico, pur continuando ad interessarsi alle vicende di Bormio cui spesso mise a disposizione la sua capace penna per richieste o suppliche. Nessuno dei suoi numerosissimi scritti che sono indice di una cultura e di interessi assai vasti e spaziano dal genere poetico a quello satirico, dalla storia alla nascente scienza o ad argomenti religiosi, fu da lui pubblicato perché con fine ironia sosteneva che “per istampare bisogna essere o molto savio o molto pazzo”.
Ignazio Bardea morì la notte del 15 novembre 1815 e fu sepolto nella chiesa parrocchiale di Bormio.

Cristina Pedrana Proh

Cultore di storia patria, di poesia religiosa e civile, di filosofia, promotore di riforme economiche e sociali, spettatore critico di avvenimenti politici grandi e piccoli, giudice ora indulgente ora severo di costumi, di tendenze e di un secolo: tale è apparso Ignazio Bardea dal nostro studio.
La sua figura domina la scena bormina della fine del Settecento e dell’inizio dell’Ottocento. Una figura complessa, dalle sfaccettature più variate e contraddittorie, dalle debolezze notevoli ma anche dai meriti grandiosi: un uomo a volte debole, ma capace di interessarsi dei problemi vitali della sua Valle; un frequentatore di salotti letterari e pettegoli, ma pronto ad usare delle sue conoscenze e della sua influenza per il benessere dei compaesani; un ricercatore schivo dell’azione, ma che ha lasciato un monumento storiografico all’Alta Valtellina più prezioso per il bene di essa che non l’agitarsi di tanti suoi contemporanei che sono scomparsi senza una reale incidenza sulla vita del loro paese. Ignazio Bardea rimane perciò, pur con tutte le sue ambiguità di uomo e le sue limitazioni di studioso, una autentica gloria della Magnifica Terra.

Padri Ireneo Simonetti ed Ennio Bianchi